Cos’è la Native Advertising?
Se volessimo dare una definizione di Native Advertising potremmo dire che è una forma di media a pagamento in cui l’esperienza pubblicitaria si adatta al contesto nel quale è inserita, senza interrompere la navigazione dell’utente.
Vediamo allora cosa differenzia il Native Advertising dalle altre forme pubblicitarie e perchè potrebbe essere l’unica strada percorribile per i publisher del futuro.
I limiti della pubblicità digitale odierna vs la Native Advertising
Non sarà una novità affermare che l’utente moderno è sempre meno attento. Ciò avviene come naturale risposta a un sovraccarico informativo.
L’utente è tempestato di informazioni: messaggi promozionali di ogni genere e dimensione. I publisher per catturare prima degli altri l’attenzione dei fruitori, hanno progettato banner sempre meno discreti, giocando con colori accesi, testi evidenziati oppure, peggio ancora, i pop-up che bloccano la navigazione.
L’eccessivo carico di informazioni ha portato ad una inevitabile chiusura da parte dell’utente che è disposto sempre meno a prestare attenzione alla pubblicità online.
La mancanza di attenzione, però, non dipende solo dalla pubblicità: è statisticamente provato che l’utente medio è sempre più distratto e la sua attenzione stimata è di circa 8,2 secondi (inferiore a quello di un pesce rosso che è di 9).
Questo si traduce in un incremento esponenziale del costo di acquisizione di attenzione per le aziende.
Ma ci sono anche altre limitazioni che stanno portando ad un’inefficacia degli strumenti pubblicitari online. Pensiamo ad esempio agli spazi poco visibili che alcuni banner promozionali ricoprono all’interno delle pagine o all’utilizzo di alcuni software che impediscono la visualizzazione degli annunci come AdBlock (che in Italia è utilizzato dal 13% degli utenti).
Vi è un altro fattore che determina un ulteriore calo del mercato pubblicitario online: l’utilizzo del mobile. In Italia nel 2018, stando ai dati di Audiweb, la navigazione da mobile ha superato la navigazione da desktop: nel giorno medio di Luglio 2018 (dati più recenti) sono stati 28,9 milioni gli utenti che hanno avuto accesso a internet, di cui il 63% da smartphone e il 21,3% da desktop.
Non che l’utilizzo dello smartphone sia un limite alla promozione ma i publisher saranno pronti a creare contenuti adattabili ai piccoli schermi?
Per fare il punto della situazione e sintetizzare i punti salienti di quanto detto sino ad ora, ci troviamo di fronte a:
- Un utente sempre meno disponibile e poco attento,
- Un aumento dell’inefficacia dei tradizionali strumenti e metodi comunicativi,
- La presenza di software per limitare la visualizzazione degli annunci,
- L’uso sempre crescente dello smartphone per accedere ai servizi internet.
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A questi cambiamenti che riguardano l’utente, si accosta anche un altro problema, questa volta che riguarda gli editori: la difficoltà di monetizzare dalle pubblicità.
A differenza dei colossi della comunicazione (Facebook e Google) che da subito hanno cercato di adeguarsi al mondo del mobile producendo contenuti facilmente fruibili da smartphone, gli editori e i publisher più piccoli hanno continuato ad utilizzare formule tradizionali per la realizzazione dei contenuti, perdendo di fatto, quote di mercato.
Il native advertising nasce con lo scopo di rendere la comunicazione digitale più performante e funzionale, adeguandosi alle nuove esigenze del mercato.
Per questo le caratteristiche principali del native advertising sono:
La capacità di un annuncio pubblicitario ad assumere la forma del contesto in cui sono inseriti.
Ereditano le funzionalità della piattaforma in cui sono caricate: (esempio like o condivisioni o commenti)
Non interrompono la navigazione dell’utente.
Sono rilevanti per chi le visiona.
Creando contenuti responsive, che non interrompono la navigazione dell’utente ma che al contrario possono essere rilevanti per le sue ricerche, cambia drasticamente il modo di concepire la comunicazione.
Lo IAB (Internet Advertising Bureau, l’associazione che definisce gli standard pubblicitari) distingue sei tipologie di formati pubblicitari “nativi”:
- In-Feed: annunci a pagamento inseriti nel listing di contenuti di un sito editoriale.
- Paid Search: annunci a pagamento inseriti nella pagina dei risultati di un motore di ricerca.
- Recommendation widget: annunci a pagamento che promuovono contenuti correlati ad un articolo.
- Promoted listings: annunci a pagamento inseriti nel listing di prodotti di un ecommerce o classified.
- In-Ad: contenuti inseriti all’interno di un formato pubblicitario standard (es: il 300×250).
- Custom: iniziative speciali condotte da un brand autonomamente o in collaborazione con un editore (es: articoli sponsorizzati).
Come abbiamo visto, questa tipologia di pubblicità tende a mimetizzarsi con il contesto e con la piattaforma che la ospita, sembrando un contenuto originale e spontaneo. Per evitare confusione nell’utente è doveroso comunicare che si tratta di un contenuto pubblicitario.
Il native advertising nasce per migliorare la qualità della pubblicità online e anche della navigazione dell’utente. E tu, hai giù utilizzato questa modalità per i tuoi annunci?
Think Native, Be Native!